Pensieri di uno specchio in un bagno pubblico

È notte fonda, vi è un odore insopportabile in questa galera, per le pulizie purtroppo bisognerà aspettare le sei.
Non mi hanno ancora riparato il neon sinistro. Stanotte, a quanto pare, lavorerò ben poco, ma non mi dispiace molto, si incontrano volti non facili da rispecchiare la notte. Di giorno tutto è anestetizzato, compresso, veloce, di notte, invece, ogni cosa esplode, si scompone, si modifica, si deforma, tende alla patologia.

Saranno le quattro, una donna fa capolino, è arrossata in viso, ho giusto il tempo di intravedere le sue labbra gonfie e: «Non si vede niente, che razza di specchio», mi lascia e passa allo specchio accanto: “Mi ha distrutto quel maiale, guarda qua che mi ha fatto, quel pervertito».
Ha un accento straniero, non ne riconosco l’origine. Un suo cliente è stato particolarmente violento, a quanto pare.
È un via vai di prostitute la notte, e a volte raccolgo i segni di uomini non proprio definibili come UOMINI.
L’acqua del lavandino scorre, la donna va in bagno: «Manco un po’ di carta igienica, che razza di cesso!»
Poi sento i suoi passi allontanarsi veloci.
Fine della pausa.
L’acqua del lavandino continua a scorrere

– «Dai qui è perfetto, mica ci vede nessuno?»
– «Fai piano!»
Stanno rompendo il lavandino mi sa, non li vedo, ma li sento. Sembrano gattini in fase grattini.
Capita anche questo la notte, non che di giorno non accada, ma la notte succede con maggiore frequenza e diciamo anche con maggiore veemenza. In questi bagni non esiste distinzione di sesso, di nazionalità… qui veramente si assiste ad ogni sorta di accoppiamento.
Non c’è discriminazione che tenga. Qui dentro vige l’imperio dell’ormone.
Il lavandino sta per cedere, lo sento scricchiolare, accompagna con le sue ultime forze gli ululati finali della coppia vogliosa.

Oh no quei passi! Li riconosco! Spero solo che oggi vada oltre, altrove, dai miei colleghi. Quanto le piacerà premere quei tacchi contro il pavimento. No!!!! È di nuovo qui anche stamane. Anche stamane mi tocca prendere parte al suo rituale da selfiesta compulsiva.
Nell’era di Instagram siamo noi specchi i veri perseguitati.
Ore e ore di prove, di pose. Petto in fuori e pancia in dentro. Sedere bene in vista e viso stirato. Labbra a canotto e sguardo sospeso, spento, di chi ha ingerito un flacone di valium.
Tutte le mattine che Dio manda in terra, dal lunedì al venerdì, prima di iniziare a lavorare, lei è qui. Porta con sé trucchi e cremine.
Vista da diverse angolazioni non cambia: è perfettamente conforme al cerimoniale-influencer, totalmente omologata alla modalità Instagram.
Noia. Tanta noia, un’infinita noia.
Spero molli al più presto la superficie del mio punto di vista.

Cammina trascinando la gamba destra. Sbaglia sempre, viene continuamente nel bagno delle donne, Orlando. Si richiude i pantaloni lentamente, incurante del suo essere fuori luogo, sfiora il mio spazio con lo sguardo mentre regge il suo bastone. Non mi incontra, troppo doloroso. Non si lava mai le mani, fugge, anestetizza ogni tormento con la sua bottiglia di plastica con dentro il vino.
Il perimetro del suo esilio diventa ogni giorno più ristretto. Chissà fino a quando resisterà!

– «Mi scappa forte! Che ti ha scritto tua madre? Hai risposto a Vittorio?»
– «Mia mamma penso ci abbia sgamato… no, a Vittorio col cavolo che rispondo!»
– «Guarda figo questo rossetto!»
– «Me lo Presti?»
– «Sì, certo!»
Avranno 16 anni, queste due ragazze, entrambe castane, capelli lunghi, mi stanno appiccate quasi a volermi baciare, probabilmente hanno problemi di miopia. Non vedono un granché bene, il rossetto mi pare sia anche leggermente sbavato. Sfoggiano tutta una serie di pose, in maniera quasi meccanica. Ridono di continuo, mi annebbiano con i loro aliti al sapor di tabacco fresco. Fuggire alla regola è inebriante a quell’età! La trasgressione è il metro di misura dell’adolescenza. Le osservo, le accolgo. Il suono acceso delle loro risate mi mette di buon umore.

– «Ho fallito di nuovo, un ‘altra bocciatura, cosa mi invento adesso?»
Ha un viso incavato, riporta le mani nei capelli a più riprese. Si guarda intorno, teme che qualcuno possa sentirla. Fissa la sua immagine per tre minuti almeno. Ha l’aria di chi ha studiato molto, gli occhi neri risaltano sull’incarnato bianco. Superare un fallimento non credo sia facile. Io non sono mai caduto – per fortuna, altrimenti smetto di esistere! – e quindi non conosco questa sensazione. Grazie alla ormai nota credenza popolare che mi riguarda, gli umani hanno una gran paura di farmi cascare, mettono viti spesse per evitarlo, adottano ogni precauzione necessaria per sorreggermi, sette anni di sfortuna non sono mica pochi, in effetti. Io resto in piedi e loro si illudono di navigare in acque favorevoli. Compromesso perfetto. Vivo alle spalle delle loro speranze e paure. Rimango l’oggetto più temuto e ora anche il più popolare. Creo dipendenza e fobie. Salvo e maledico. Mi nutro della vanità umana.

RIFLETTO, questo è quanto.

©Mariagrazia Passamano. All rights reserved

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