Pensieri di uno specchio in un bagno pubblico #2

Non capisco cosa stia accadendo questo pomeriggio. Il bagno è travolto da file disumane. Ci sarà sicuramente un avvenimento importante, lì su, in centro, da qualche parte.
Faustina, la nostra donne delle pulizie, è da stamane che si dimena in imprecazioni di ogni genere.
Ha appena messo il cartello “caution wet floor” in fondo alla stanza, e ora adagio estrae il suo termos del caffè dalla borsa e inizia a bere, mentre concentrata guarda i messaggi su whatsapp. Parla da sola, si lamenta di tutti e di tutto. Rimprovera le figlie che ancora non le hanno neanche scritto: «A me nessuno mi pensa! Certo se fossi stata ricca, mi avrebbero amata tutti, invece siccome pulisco cessi, nessuno mi considera, neanche quel traditore di mio marito».
Si avvicina a me con un panno unto, mi spruzza addosso un liquido nauseabondo, e inizia a strofinare con forza: «ma pure le macchie di rossetto, ma queste che ci fanno con ‘sto specchio, ci fanno l’amore?!».
Sono ancora più sporco di prima, non vedo più nulla, e intanto lei: « È un degrado, un degrado!»
Io a Faustina voglio bene, ma le pulizie non le sa proprio fare. Mi ha sporcato gravemente, superando addirittura i suoi record precedenti, mi toccherà attendere il fazzoletto pulito di qualche anima narcisistica.
Vedo tutto annebbiato.
– «L’ha visto il cartello?», infierisce contro una ragazza, «sì, è straniera, ma qua c’è scritto in inglis. Né vogliono fare niente e né mi lasciano fare niente. Oggi poi doveva venire pure questo artista famoso a mettere le installazioni dentro ai bagni. Ho capito la parità, ma qua gli uomini vanno nel bagno delle donne e le donne dappertutto. Io rispetto l’arte, per carità, ma così diventa un manicomio. Altro che arte! E poi sarò all’antica io, ma le installazioni dentro ai cessi non mi sembrano proprio un tocco di genialità».
Finalmente, dopo questo lungo sfogo, Faustina riapre la porta del bagno e lascia entrare le persone.

– «Margherita vieni qua»
– «No, mamma sono in fila»
– «Ma il bagno dei disabili è libero»
– «Mamma non possiamo andare nel bagno dei disabili»
– «Ma non c’è nessuno, io ci vado!»
Margherita non risponde più, ma la madre continua a chiamarla, facendosi spazio tra le donne in fila.
Infine, ad alta voce la mamma conclude: «Allora sei proprio scema, non ho parole».
Riesco ad intravedere a mala pena il volto di Margherita tanto è insudiciata la mia visuale, è una ragazzina con i capelli neri che segue in maniera composta la fila mentre cerca nello zaino il suo pacco di fazzolettini.
Mi piace credere che il futuro abbia il volto di Margherita.

– «Papà ma tu qui non puoi entrare, qui solo le femminucce possono»
– «Lo so amore, ma a fare la pipì chi ti accompagna?»
– «Sono grande ormai, posso farla anche da sola»
Grande non direi, non raggiunge neanche il lavandino.
– «Papi mi prendi in braccio? Voglio vedere se la lingua è blu»
– «Dopo amore, dopo. Prima fai la pipì»
La piccola caparbiamente si avvicina al lavandino, il padre cede, la prende in braccio, e lei parte con la sua linguaccia: «È blu, visto?»
– «Con tutte le M&M’S che hai mangiato, lo credo bene!»
– «Papi, ma la lingua a cosa serve? Perché abbiamo la lingua?»
– «Dai, Marta, ora vieni giù»
– «Papi, facciamo una foto? Su! Su!»
Marta ha i capelli biondi raccolti in due codini, un visino minuto, gli occhi marroni, vivacissimi Il padre avrà più di 40 anni, sembra molto provato, sudato: «Vieni giù così prendo il cellulare».
La rimette a terra e poi la riprende nuovamente in braccio.
– «Papi, sorridi, dai!»
Flash. Il padre scatta la foto e si sforza di sorridere, mentre Marta sembra già una selfiesta navigata, fa la linguaccia e mette le dita a V.
– «Ora andiamo in bagno», dice il padre.
La bambina continua a fare domande, sembra un juke-box impazzito. Il padre prova a starle dietro, io invece sono già in preda ad un forte esaurimento nervoso.
– «Papi, facciamo un’ultima foto? Davanti ad un altro specchio però, quello è tutto sporco e brutto», dice la bambina indicando me.
Arrivaci tu alla mia età senza aver battuto mai ciglio e poi ne riparliamo, impertinente lingua blu.

È ritornata Ramona, erano giorni che non si faceva viva. Arriva abitualmente verso quest’ora, poco prima delle 21:00. Ha sempre il suo bicchiere di plastica con dentro dei cocktail. Anche questa volta porta il bicchiere in bagno con sé. Avrà più di 45 anni, non ho mai capito che lavora faccia e soprattutto se abbia un lavoro, ma a giudicare dal suo modo di vestire e dal suo aspetto curato credo di sì. O almeno mi pare pacifico che non faccia la fame.
– «Che poi cosa dovevo rispondere a quella? Uno non può neanche tranquillamente scambiare due parole con un uomo che subito partono le scenate di gelosia, le offese e i gesti di inciviltà”.
È abbastanza agitata questa sera. Lei viene qui, e tra un sorso e un altro parla con me. A volte grazie a lei mi sento quasi umano.
– «Ma quanto cavolo sei sporco oggi?!»
Eccola la mia anima narcisistica, ecco chi mi salverà. Ma cosa fa?
No, non voglio vedere, no no. L’acqua, l’acqua, apri il lavandino, ti prego. Vengo quasi inondato dalla sua saliva. Ramona perché?
Mi fidavo di te, ma perché non bagnare il fazzoletto con un po’ di acqua?
Perché hai scelto di impiastricciarmi con il tuo liquido salivare al sapore di alcool?
– «Capito in che Paese viviamo?»
In verità non capisco più niente, so solo che sto ingoiando il tuo intruglio.
Si avvicina per dare un’occhiata al brufolo che ha sulla guancia destra e vengo travolto da una potente alitata di negroni: «Siamo un Paese di matti, uno non può manco parlare civilmente con un essere umano, soffrono tutti di manie di persecuzione, tutti nervosi. Ma poi io con quel tipo non ci stavo mica provando?! È questa l’assurdità».
Si riaggiusta la frangia e le sopracciglia. Altro sorso, e dopo l’ultimo sguardo ammaliante, butta nel cestino il suo bicchiere ormai vuoto: «non ci capisco più nulla», esclama.
Siamo in due.
Fine dello show. Sipario

Saranno pressappoco le dieci di sera, è stato un giorno faticoso; Faustina, prima, e Ramona, dopo, mi hanno proprio mandato fuori uso quest’oggi.
– «Che fai mi segui pure in bagno? Non posso chiamare i miei per chiedere ancora soldi, smettila di insistere, Luca»
– «Ah non puoi? E perché? Sentiamo… »
– «Perché mi vergogno. Io ero una ragazza perbene, prima di conoscere te»
– «E che cazzo c’entra questo ora?»
– «C’entra, c’entra. Fammi andare a pisciare adesso.»
Non chiude la porta del bagno; dopo aver tirato lo sciacquone mi raggiunge lentamente. Inizia a lavarsi le mani, mentre cerca di specchiarsi. Lui si avvicina, non lo vedo in volto: «Quindi? Che vuoi fare?», esclama.
– «Mi devono pagare l’ultimo mese del mio lavoro al call center, ricordi? Aspettiamo quelli.»
Lui le dà uno spintone e urla:”Aspettiamo quelli? Ma tu hai capito o no che io non posso aspettare?»
– «Mi hai rovinato la vita», sussurra la ragazza, mentre si asciuga le lacrime con forza, «anch’io non posso più stare senza quella merda ormai».
Sento i passi di lui allontanarsi velocemente.
La ragazza avvicina alla mia visuale i suoi occhi azzurri, accerchiati dal nero della disperazione. Non scorgo ancora un viso denutrito e segnato; sarà solo all’inizio del suo calvario.
Alcuni volti che accolgo mi segnano, sono solo un pezzo di rigida e passiva nullità, lo so bene, ma certi dolori li trattengo un po’ prima di rimandarli indietro, sarà forse per questo che anche noi invecchiamo, in qualche maniera la vita degli altri segna anche noi.
– «Luca aspetta, non mi lasciare, chiamo i miei, chiamo i miei, fermati!»

©Mariagrazia Passamano. All rights reserved

Pensieri di uno specchio in un bagno pubblico

È notte fonda, vi è un odore insopportabile in questa galera, per le pulizie purtroppo bisognerà aspettare le sei.
Non mi hanno ancora riparato il neon sinistro. Stanotte, a quanto pare, lavorerò ben poco, ma non mi dispiace molto, si incontrano volti non facili da rispecchiare la notte. Di giorno tutto è anestetizzato, compresso, veloce, di notte, invece, ogni cosa esplode, si scompone, si modifica, si deforma, tende alla patologia.

Saranno le quattro, una donna fa capolino, è arrossata in viso, ho giusto il tempo di intravedere le sue labbra gonfie e: «Non si vede niente, che razza di specchio», mi lascia e passa allo specchio accanto: “Mi ha distrutto quel maiale, guarda qua che mi ha fatto, quel pervertito».
Ha un accento straniero, non ne riconosco l’origine. Un suo cliente è stato particolarmente violento, a quanto pare.
È un via vai di prostitute la notte, e a volte raccolgo i segni di uomini non proprio definibili come UOMINI.
L’acqua del lavandino scorre, la donna va in bagno: «Manco un po’ di carta igienica, che razza di cesso!»
Poi sento i suoi passi allontanarsi veloci.
Fine della pausa.
L’acqua del lavandino continua a scorrere

– «Dai qui è perfetto, mica ci vede nessuno?»
– «Fai piano!»
Stanno rompendo il lavandino mi sa, non li vedo, ma li sento. Sembrano gattini in fase grattini.
Capita anche questo la notte, non che di giorno non accada, ma la notte succede con maggiore frequenza e diciamo anche con maggiore veemenza. In questi bagni non esiste distinzione di sesso, di nazionalità… qui veramente si assiste ad ogni sorta di accoppiamento.
Non c’è discriminazione che tenga. Qui dentro vige l’imperio dell’ormone.
Il lavandino sta per cedere, lo sento scricchiolare, accompagna con le sue ultime forze gli ululati finali della coppia vogliosa.

Oh no quei passi! Li riconosco! Spero solo che oggi vada oltre, altrove, dai miei colleghi. Quanto le piacerà premere quei tacchi contro il pavimento. No!!!! È di nuovo qui anche stamane. Anche stamane mi tocca prendere parte al suo rituale da selfiesta compulsiva.
Nell’era di Instagram siamo noi specchi i veri perseguitati.
Ore e ore di prove, di pose. Petto in fuori e pancia in dentro. Sedere bene in vista e viso stirato. Labbra a canotto e sguardo sospeso, spento, di chi ha ingerito un flacone di valium.
Tutte le mattine che Dio manda in terra, dal lunedì al venerdì, prima di iniziare a lavorare, lei è qui. Porta con sé trucchi e cremine.
Vista da diverse angolazioni non cambia: è perfettamente conforme al cerimoniale-influencer, totalmente omologata alla modalità Instagram.
Noia. Tanta noia, un’infinita noia.
Spero molli al più presto la superficie del mio punto di vista.

Cammina trascinando la gamba destra. Sbaglia sempre, viene continuamente nel bagno delle donne, Orlando. Si richiude i pantaloni lentamente, incurante del suo essere fuori luogo, sfiora il mio spazio con lo sguardo mentre regge il suo bastone. Non mi incontra, troppo doloroso. Non si lava mai le mani, fugge, anestetizza ogni tormento con la sua bottiglia di plastica con dentro il vino.
Il perimetro del suo esilio diventa ogni giorno più ristretto. Chissà fino a quando resisterà!

– «Mi scappa forte! Che ti ha scritto tua madre? Hai risposto a Vittorio?»
– «Mia mamma penso ci abbia sgamato… no, a Vittorio col cavolo che rispondo!»
– «Guarda figo questo rossetto!»
– «Me lo Presti?»
– «Sì, certo!»
Avranno 16 anni, queste due ragazze, entrambe castane, capelli lunghi, mi stanno appiccate quasi a volermi baciare, probabilmente hanno problemi di miopia. Non vedono un granché bene, il rossetto mi pare sia anche leggermente sbavato. Sfoggiano tutta una serie di pose, in maniera quasi meccanica. Ridono di continuo, mi annebbiano con i loro aliti al sapor di tabacco fresco. Fuggire alla regola è inebriante a quell’età! La trasgressione è il metro di misura dell’adolescenza. Le osservo, le accolgo. Il suono acceso delle loro risate mi mette di buon umore.

– «Ho fallito di nuovo, un ‘altra bocciatura, cosa mi invento adesso?»
Ha un viso incavato, riporta le mani nei capelli a più riprese. Si guarda intorno, teme che qualcuno possa sentirla. Fissa la sua immagine per tre minuti almeno. Ha l’aria di chi ha studiato molto, gli occhi neri risaltano sull’incarnato bianco. Superare un fallimento non credo sia facile. Io non sono mai caduto – per fortuna, altrimenti smetto di esistere! – e quindi non conosco questa sensazione. Grazie alla ormai nota credenza popolare che mi riguarda, gli umani hanno una gran paura di farmi cascare, mettono viti spesse per evitarlo, adottano ogni precauzione necessaria per sorreggermi, sette anni di sfortuna non sono mica pochi, in effetti. Io resto in piedi e loro si illudono di navigare in acque favorevoli. Compromesso perfetto. Vivo alle spalle delle loro speranze e paure. Rimango l’oggetto più temuto e ora anche il più popolare. Creo dipendenza e fobie. Salvo e maledico. Mi nutro della vanità umana.

RIFLETTO, questo è quanto.

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