Il tramonto degli eroi

(In memoria di Giovanni Falcone)

Sarà sicuramente un mio limite, ma io oggi non riesco a commemorare in pace Giovanni Falcone. In realtà non solo oggi, non ci sono mai riuscita. Non riesco a separare la morte di Falcone dalle mancanze culturali intrise nella nostra “italianità”. Non si può non denunciare il fatto che Giovanni Falcone sia stato ucciso dalla stessa mentalità grazie alla quale prende forma la mafia; da quel pensiero che fa da substrato all’omertà, che si intreccia con l’indifferenza e con la concezione di far prevalere ciò che si considera più conveniente e non più giusto.
Giovanni Falcone prima di essere stato ucciso, materialmente, dalla mafia era già stato ammazzato, moralmente, dall’isolamento in cui era stato confinato
Tutte queste commemorazioni ipocrite, dove la mafia risulta essere l’uomo nero e gli uomini delle istituzioni i paladini della legalità mi danno sui nervi. Sembra quasi che questo Paese abbia imparato la lezione e che, grazie ai morti ammazzati, sia diventato improvvisamente un posto migliore e che tutti si siano trasformati in depositari dei valori di libertà e giustizia.
L’unico dato incontrovertibile è che in Italia si diventa eroi perché si rimane soli; perché si resta schiacciati dal peso dell’indifferenza e dal pensare solo per se stesso e non per l’intera comunità. Infatti, uno dei tanti grandi problemi di questo paese va proprio ravvisato nella costante incapacità di fondere e di unire gli interessi dei singoli per un bene più alto e condiviso; nell’ottusa mentalità di pensare ad annaffiare solo il proprio giardino; nel concentrare tutti gli sforzi per “arrivare in alto”, scavalcando tutto e tutti, comprando, vendendosi, promettendo e cedendo ai ricatti morali di ogni tipo. Un paese dove la realizzazione dell’inciso “il fine giustifica i mezzi” sembra diventato l’unico valore condiviso. Dove ad emergere risulta essere solo l’interesse meschino del singolo o l’indifferenza.
Quanti altri “eroi” dobbiamo commemorare prima di comprendere che nella nostra “Italietta” le cose non miglioreranno fino a quando non inizieremo a viverci come cittadini, ovvero come parte fondamentale di un tutto?
Fino a quando non capiremo che il cambiamento può partire solo da noi, dal basso, rimarremo sempre quelli “salvati” in extremis dai decreti legge, quelli dove si fa politica per “sistemarsi” e sistemare, anche se poi ci si pulisce la bocca con il nome di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Resteremo sempre il Paese dove la meritocrazia sarà considerata il capriccio a cui fanno appello quelli senza “Santi in Paradiso”; quello “guidato” da un classe politica perennemente con la bava alla bocca, ma priva di intenti programmatici; dove si ridicolizzano “i professoroni” ma poi si è incapaci di fare le riforme. Quello dove prevale il più furbo, dove c’è “l’amico dell’amico”. Continuerà ad essere lo Stato che verserà lacrime di coccodrillo per i ricercatori ammazzati in giro per il mondo, senza investire nella ricerca; quello che si attribuirà, illegittimamente, la paternità dei successi degli scienziati e degli artisti italiani fuggiti all’estero perché in Italia non hanno avuto nessuna chance.
Falcone diceva che la mafia può essere debellata solo partendo dalla radice ovvero dall’educazione. Lo credo fortemente anche io.
Vorrei vedere, da nord a sud, in ogni ramo delle istituzioni, nei vari settori, più uomini giusti, più uomini con il talento, la competenza, con la geniale lungimiranza, con la lucidità, con l’onestà e soprattutto con la rara umiltà di Giovanni Falcone.; vorrei che le leggi di riforma non venissero approvate solo perché intrise del sangue di gente morta ammazzata; vorrei tramontasse una volta per tutte l’era degli eroi, degli italiani isolati e massacrati perché abbandonati e che imparassimo tutti ad essere solo un più uomini, più umani e a capire che le sorti del nostro paese non possono e non devono essere affidate allo sforzo di un singolo uomo, ma ad ognuno di noi e al nostro senso di responsabilità come individui e come cittadini.

Mariagrazia Passamano

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