Pensieri di uno specchio in un bagno pubblico #Christmastime

E così sono giunte anche quest’anno le vacanze natalizie. La corsa agli acquisti non conosce tregua, un magma di folla impazzita invade ogni centimetro di questo piccolo bagno di città.
Si assiste ad ogni forma di istrionico imbarbarimento del concetto autentico della festività in atto.
Fioccano visi al botulino, occhi stirati come panni rinsecchiti al sole durante la stagione estiva; i pacchi dei regali strabordano dai sacchetti di plastica abnormi che vengono posati a terra in ogni dove tra residui di urina e liquidi di ogni genere.
Ogni anno è così, la frenesia aumenta, il bagno è intasato di gente, ma il temperamento tempestoso di Faustina sembra conoscere una breve fase di arresto grazie ai benefici effetti di Sua Maestà “la Tredicesima”.
– «Abbiate un poco di pazienza, pulisco e poi riapro la porta!»
Mette in fondo alla stanza il suo noto cartello e piano piano viene verso di me, esclamando: «Meglio fare presto oggi, c’è una gran confusione». Inumidisce il panno e inizia ad imbrattarmi come al solito. «’sto specchio mi pare proprio vecchio, forse andrebbe sostituito».
O forse dovremmo sostituire te, che insudici le nostre superfici da dieci lunghi anni ormai. La preferisco nervosa e disattenta, la sua finta ed improvvisa accuratezza mi dà quasi sui nervi. Le squilla il cellulare, mette i suoi guanti cicciuti dentro le tasche ed estrae il cellulare: «Pronto! Amore di nonna! Siete Partiti? Bravi! Bravi! Ed io vi aspetto. Di’ a mamma che per la vigilia ho comprato il capitone, il baccalà e le vongole. Tanti baci pure a te, amore. Fate piano, mi raccomando».
Rimette il cellulare in tasca ed inizia ad intonare una strana canzone.
– «Signora mi scusi posso entrare un secondo, sa, sono incinta, posso?», sussurra una ragazza dal fondo della stanza.
– «Ci mancherebbe, Signora. Attenzione a non cadere però, perché sennò facciamo la frittata. La vengo a prendere»
Osservando l’inconsueta gentilezza di Faustina mi viene in mente un solo pensiero: alcune persone non sono dedite all’inumanità, sono soltanto povere.

– «Vieni amore, aspettami qui da bravo. Vado a fare la pipì e poi torno da te!»
Odo in lontananza i lamenti di un piccolo cane, e i tacchi lesti della donna che l’ha legato momentaneamente al termosifone.
– «Arrivo, cucciolo! Non ti spaventare»
Nel tempo che la “sua mamma” è rinchiusa in bagno, il piccolo dà vita ad un discreto concertino di ululati alternati a ringhiate isteriche. Niente sembra dissuaderlo dalla rabbia che lo devasta in quell’interminabile attesa.
Poi finalmente la luce: “Amore! Eccomi! La tua mamma è tornata!»
Tornata? Ma saranno stati separati da pochi centimetri per due o al massimo tre minuti.
– «Il mio grande amore, vieni in braccio alla tua mamma!»
Si avvicinano alla mia visuale, in un delirio di baci e carezze. Il cagnolino è nero, di minuscola taglia, la sua mamma invece è una ragazza di trent’anni, con un caschetto biondo e dalle gote generose. L’ ossitocina straripa da ogni poro, sono nel mondo ma totalmente intoccabili, imprendibili. Forse è questo il senso ultimo dell’amore: renderci più resistenti rispetto agli urti del mondo.
Mi capita spesso di riflettere coppie, ma così innamorate raramente. È una danza di gesti di cura e di amore, nei loro sguardi rinvengo uno stato di gioia assoluta, una sorta di beatitudine, un pezzo di infinito in questo umido seminterrato.

Finalmente un momento di pace, la foga consumistica si è arrestata. Un po’ di sollievo almeno fino a domani mattina.
– «Ed io cosa avrei da festeggiare, questa mia vita misera? La mia condizione di emarginato, di rifiutato? »
È tornato Orlando. L’ho atteso a lungo in questi notti. Sono stato in pena per lui.
Si dirige verso il bagno, particolarmente barcollante, mentre continua a parlare sottovoce, non riesco a decifrare il suo monologo.
Improvvisamente sento un gran baccano, un crollo, poi più niente.
Urlo: «Orlando!», ma nessuno può sentirmi, nessuno mi sente.
Eccomi inchiodato al mio immobilismo, alla mia impotenza. Non sono che una cosa, un oggetto. Una nullità.

Sono le tre di notte e stanno tirando fuori Orlando dal bagno su una barella.
L’arrivo del Natale ha ristretto ancora di più il suo perimetro di sopportazione e dilatato, ampliato le sue ferite.
Spero sia un addio senza morte, amico mio. Mi auguro di non rivederti mai più in questo inferno.

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